Bimbi del Rwanda: ripartiamo da loro
Espérance, Jean Aimé, Noel: hanno nomi dolcissimi questi bambini rwandesi, ma anche un passato tristissimo di abbandono, povertà, ignoranza. Ma non si direbbe a vederli nelle loro nuove famiglie, dove sono stati inseriti grazie al “Progetto Affido” che Jardin e Caritas locale portano avanti da un anno nel nord del Paese, nel distretto di Ruhengeri. Sono 21 bimbi fortunati che non vivono più in orfanatrofio o per strada e che visitiamo nelle loro casette in mezzo a una campagna piena di piccoli coltivi. Insieme all’assistente sociale e agli altri dello staff Caritas, che li controllano periodicamente, cerchiamo di capire anche come proseguire il cammino di speranza con loro. Nella nostra missione di monitoraggio li troviamo in buona salute e puliti- eppure sappiamo che il sapone è un lusso; soprattutto,sorridenti e a loro agio tra le braccia delle nuove mamme adottive. Tutti vanno a scuola e tutti con buoni risultati, fieri nelle uniformi fornite dal progetto; tutti hanno avuto un check medico e un’assicurazione sanitaria per quest’anno.
“Mangiate tutti e tutti i giorni?” è una delle domande d’obbligo durante le visite. E fa male sentire più di una mamma che risponde: no, ci sono giorni in cui non mangiamo. Sono quasi tutte donne le capofamiglia, rari gli uomini. Sono donne straordinarie, dignitose, lavoratrici – lavorano nei campi altrui se non riescono a fare qualche piccolo commercio- hanno accolto come un dono un bimbo in più in casa, che è spesso una povera abitazione di fango secco, senza pavimento, senza cucina, ovviamente senza acqua potabile. Nella prima fase del progetto l’aiuto ha raggiunto solo i bambini; ora il passo successivo è migliorare la situazione di tutta la famiglia. Che per sé -notiamo- non ci chiedono nulla, a parte qualche minima cosa per la casa ( “una porta per poterla chiudere” “ un tetto di lamiera contro la pioggia”), e di avere delle sementi, qui molto care, per piantare fagioli o patate o cavoli, e poter tutti mangiare di più.
Ripartire dai bimbi vuol dire non solo ridar loro una famiglia, ma dare dignità e speranza di vita migliore a questa famiglie ancora piegate dalle guerre etniche, ferite dall’Aids, a volte ridotte a forme semifamigliari fatte di soli ragazzini che vivono insieme- le cosiddette fratries. E la prossima fase del progetto vuole fare proprio questo, dando per esempio loro sementi, qualche animale da cortile, semplici cucine all’aperto, filtri per l’acqua… e la formazione per coltivare e allevare al meglio, producendo anche una piccola rendita.
Ci sono ancora 16 bambini nell’orfanatrofio (la “Casa Famiglia Bukane” ndr) della diocesi di Ruhengeri. L’ultima domenica del nostro soggiorno viene organizzata una festicciola per i bimbi sostenuti dal progetto, e ci sono anche loro. Chissà che l’anno prossimo non possano anch’essi incamminarsi a piedi sulla strada di casa, alla fine della giornata, a fianco di una mamma o un papà.
di Guya Mina, socia e volontaria specializzata all’interno dell’area progetti di Jardin de los Niños onlus, nonché giornalista
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