Settembre 2024

“SPORT E DIRITTI UMANI”
Intervista a Paolo Pobbiati
autore del libro “Invasioni di campo”

Nel nostro progetto “Sport e Diritti Umani – Il contributo dello sport e dell’ideale olimpico nel perseguimento dei Diritti Umani” (progetto finanziato dalla Regione Veneto per le “Iniziative di promozione della cultura dei diritti umani 2023”) abbiamo avuto modo di incontrare e dialogare più volte con Paolo Pobbiati, autore del libro “Invasioni di campo – Undici storie di sport e diritti umani all’ombra della DAD”.

Paolo ha una ricchissima esperienza con i diritti umani: per tanti anni è stato presidente di Amnesty International Italia, attività che lo ha portato a viaggiare, a vedere realtà diverse, a conoscere persone e storie ricche di significato e di emozioni.

Conosciamo Paolo attraverso le sue parole in risposta ad alcuni spunti di riflessione…

intervista a Paolo Pobbiati

Paolo e i diritti umani
Come è nato il tuo interesse ed impegno nei confronti dei diritti umani?

Da bambino/ragazzino avevo avuto modo di assistere all’affermazione dei grandi movimenti per i diritti civili, quelli americani per l’emancipazione dei neri, per i diritti delle donne, per una più equa distribuzione della ricchezza, poi più avanti per i diritti di gay e lesbiche (eravamo ancora lontani dalle definizioni LGBTQIA+). Vissi la frustrazione di vedere affermarsi e crescere le dittature degli anni ‘70 in America Latina e in tanti altri luoghi del mondo. Divenne sempre più forte l’empatia per chi lottava per la fine di discriminazioni e repressione e maturai la consapevolezza che il privilegio dato dalla mia condizione di nascita – europeo che viveva in un contesto democratico, bianco, non povero, maschio eterosessuale e legato a tutti i privilegi che questi status mi garantivano – non avrebbe dovuto essere un buon motivo per non unire la mia voce a quella di chi voleva cambiare le cose, anzi si consolidava in me l’idea che tali privilegi sarebbero dovuti divenire diritti acquisiti per tutti. Il problema era casomai come canalizzare questa pulsione – feci alcune esperienze di volontariato e di militanza nell’allora Partito Radicale di Pannella – sino a quando, tre decenni e mezzo fa, incontrai quasi per caso Amnesty International.

Paolo e Amnesty International
Aver rappresentato Amnesty International per tanti anni ha portato con sé responsabilità ma anche grandi occasioni e opportunità per lavorare in prima fila sui diritti umani. Cosa ha significato per te questo ruolo e questo tuo attivismo con l’Associazione?

Ho un enorme debito di gratitudine nei confronti di Amnesty International, perché mi ha consentito di migliorare molto la qualità della mia vita aiutandomi a tirare fuori la parte migliore di me. Ho avuto l’occasione e l’opportunità di lavorare per persone – in carcere per le proprie idee o per il proprio attivismo non violento – che senza Amnesty sarebbero state dimenticate nelle mani di carcerieri e torturatori, intraprendendo per loro campagne e azioni che in molti casi hanno portato alla loro liberazione o a miglioramenti sensibili delle loro condizioni di detenzione. Ho avuto la fortuna di incontrare molti di loro e di far conoscere le loro storie a persone che spesso non avevano idea della situazione di molti paesi. Con Amnesty abbiamo lavorato per l’introduzione di strumenti legislativi e giuridici volti a una maggiore salvaguardia dei diritti umani in Italia e nel mondo. Sono più che convinto che la militanza in Amnesty non abbia soltanto reso migliore la mia vita ma abbia reso me una persona migliore di quello che avrei potuto essere senza questo incontro.
La presidenza di Amnesty Italia è stata un grandissimo onore e ne ho un ricordo meraviglioso. Ma ho dovuto spostare comprensibilmente il focus della mia attività anche su aspetti organizzativi e gestionali che sono ovviamente necessari in un’organizzazione così grande e complessa, a detrimento del mio interesse per il lavoro sui diritti umani vero e proprio.

Paolo e il libro
Cosa ti ha portato a scrivere questo libro?

Il COVID. Nel 2021 insegnavo Scienze Motorie in un liceo della periferia milanese e all’ennesima riconferma della didattica a distanza nelle scuole pensai che avrei dovuto cercare di aggiungere valore alle mie lezioni a distanza. Ci sono figure di atleti che mi avevano sempre affascinato per il loro impegno civile che talvolta era costato loro la carriera sportiva quando non la libertà o addirittura la vita. Inoltre sono sempre stato interessato da quell’osmosi continua tra società e sport e alle rispettive invasioni di campo con la politica. Così ho pensato di raccontare queste loro storie alle mie classi, raccogliendo con queste lezioni un successo notevole quanto inaspettato. Quando siamo tornati in presenza mi sono chiesto cosa avrei potuto fare di quelle lezioni e della mole di lavoro e ricerca per prepararle che rischiavo di dover chiudere in un cassetto. Mi venne in mente di scriverle e di trasformarle in un libro. Lo proposi al mio editore, con cui avevo pubblicato un altro romanzo, che accettò l’idea con entusiasmo. Il successo del libro ha premiato sia me che lui, ma soprattutto ha fatto sì che queste storie, solo in parte conosciute dal grande pubblico, venissero lette da tante persone. E questo credo sia il risultato migliore.

copertina libro invasioni di campo

Paolo e lo sport
Alla luce del nostro progetto “Sport e Diritti Umani” e della tua esperienza nel mondo dello sport, come lo sport può contribuire per costruire una società più attenta ai diritti umani? Quale ruolo potrebbero avere gli sportivi nell’educare e nel sensibilizzare la comunità?

Lo sport ha enormi potenzialità sotto questo punto di vista. Gli atleti di successo hanno, che piaccia a loro o meno, una grandissima responsabilità perché come i grandi artisti muovono emozioni enormi in chi li segue e li sostiene. Con i comportamenti personali, ovviamente, ma a volte anche con prese di posizione coraggiose. La storia ci insegna che gesti del genere hanno avuto poche o nessuna ricaduta diretta sulle situazioni – il rifiuto di Mohammed Alì di andare a combattere in Vietnam non ebbe nessun effetto sulla guerra, e i pugni alzati di Tommie Smith e John Carlos sul podio olimpico di Città del Messico non fecero cessare la discriminazione razziale negli USA – ma hanno smosso milioni di coscienze costringendo tante persone ad affrontare contraddizioni che tendevano a rimanere sotto traccia o legate a gabbie ideologiche. Questo cambia il mondo. Penso che, anche alla luce del prezzo altissimo che pagarono per queste scelte, possiamo considerarli a buon titolo degli eroi moderni.
Ma l’eroismo non è un attributo comune e lo sport e il mondo non possono certo affidarsi unicamente a figure e fatti del genere. Lo sport viene praticato da milioni di persone, per lo più giovani e giovanissime, sovente con un forte investimento emotivo. Come viene praticato, quali valori vengono trasmessi da insegnanti e allenatori, dai dirigenti e dalle federazioni, fanno la differenza e la fanno per davvero. Avendo passato una vita negli ambienti sportivi, posso dire di aver visto situazioni straordinarie che comportano un impatto positivo fondamentale sulla vita di chi le ha vissute, accanto ad altre molto meno sane. La prestazione sportiva non dovrebbe mai essere considerata unicamente come un fine, ma come uno strumento per arrivare a qualcosa d’altro che è molto più importante e prezioso. La differenza la facciamo noi.

Paolo e i giovani
Tanti anni al fianco dei giovani, come insegnante, come educatore, come allenatore… quali risorse vedi in loro? Come aiutarli a crescere sviluppando/favorendo in loro una partecipazione attiva nella promozione e nel rispetto dei diritti umani?

Mi risulta difficile considerare i giovani una categoria omogenea, così come qualsiasi altra classificazione umana. Però, a dispetto di chi continua imperterrito a ribadire frasi del tipo “i giovani d’oggi non sono più quelli di una volta” o “noi avevamo ben altri valori” che si ripetono identiche sin dalla notte dei tempi da parte di chi giovane non è più, il fatto che l’umanità alla fine sia sempre andata avanti e che oggi il mondo sia meno ingiusto e più vivibile rispetto a cento o a mille anni fa significa che nella maggior parte dei casi i figli sono migliori dei padri. Detto questo credo che questo periodo storico sia uno dei più difficili da affrontare per chi si avvicina alla vita adulta. Una socialità molto e troppo rapidamente modificata dai social, un accesso pressoché illimitato all’informazione via internet e una quantità di possibilità di scelte di vita incredibilmente più ricche e numerose rispetto a qualche decennio fa, se aprono a opportunità del tutto nuove possono anche essere fortemente destabilizzanti, e non sempre il mondo degli adulti – famiglia e scuola in primis – riesce a essere un valido supporto.
Nella mia vita di insegnante e di attivista ho parlato innumerevoli volte a miei ed altrui studenti dei diritti umani, delle loro implicazioni sulla vita di tutti noi e dei modi per lottare per rivendicarli. Non so quanto abbia poi inciso sul loro modo di pensare il mondo. Sicuramente erano interventi che andavano fatti ma sono certo che non sia sufficiente. La vera cultura dei diritti umani si crea educando le persone ad accogliere l’altro dentro di sé, contrastando l’individualismo spinto all’eccesso e il narcisismo, il ripiegarsi sulle proprie pulsioni ed esigenze tanto da non vedere più chi ci sta intorno, così presenti oggi nel nostro mondo. Se si riesce a considerare gli altri non solo come parte delle proprie emozioni o del proprio disagio ma come altri soggetti di cui riconosciamo l’umanità e l’individualità, così come la gioia e la sofferenza, lì si può radicare una cultura dei diritti intesi come valore universale. Occorre far capire che per cambiare le cose dobbiamo cominciare da noi stessi.
È molto più difficile da insegnare, ma si può fare.

Un tuo messaggio…
Ogni periodo storico ha le sue difficoltà, locali e globali… Da attivista e da persona sensibile quale sei e sei sempre stato: cosa ti senti di dirci per non perdere mai la speranza e per non arrenderci di fronte alle vicende del momento che, a volte, sembrano “schiacciarci”?

È facile non arrendersi quando le cose vanno bene, ma è necessario non farlo quando le cose vanno peggio. Viviamo in un tempo difficile, dove conflitti sanguinosi ci sono arrivati a fianco della porta di casa, dove si sta rilanciando la seduzione per i regimi autoritari e dove dopo anni di lenti e faticosi progressi nel campo dei diritti questi stanno affrontando diversi tentativi di erosione. Vale per i diritti politici come per i diritti delle donne e delle minoranze, vale per quella parte di umanità che lascia la sua terra di origine per cercare fortuna altrove e che riceve sempre di più un pessimo benvenuto da parte di chi, per diritto di nascita, si trova in situazioni oggettivamente privilegiate. Viviamo sollecitati da situazioni che possono fare paura e che spesso ci vengono presentati in questa chiave: la paura di perdere ciò che abbiamo costruito sia dal punto di vista sociale che materiale, ma anche il nostro sacrosanto diritto a vivere in pace e in sicurezza una vita dignitosa. E la paura, quando prende il sopravvento, non è mai una buona consigliera per le scelte di vita. Questo dobbiamo combattere, e consolidare quella serenità che ci possa consentire di capire in che tipo di mondo vogliamo vivere – auspicabilmente più giusto ed equo – e di affrontare il percorso necessario per realizzarlo.
Il nostro futuro è nelle nostre mani, lo è sempre, e sta a noi realizzarlo.

GRAZIE Paolo per il tuo impegno e per le tue parole a favore dei Diritti Umani!

Per conoscere Paolo Pobbiati:
http://www.pobbiati.it
Facebook: Paolo Pobbiati 
Instagram: paolo.pobbiati1

Attivati anche tu per promuovere una cultura dei Diritti Umani!
Attività in Italia