Al dolce passo “misionero”
Spaccati del quotidiano del barrio San Jorge e il senso del nostro cooperare in quelle terre dalla parole di una nostra giovane volontaria di Belluno, dopo due mesi trascorsi con Jardin Argentina a Posadas, capoluogo della provincia di Misiones.
All’approssimarsi della partenza mi chiedevano spesso quali fossero le mie aspettative per il viaggio in Argentina.
Ora, dopo aver vissuto e scoperto Posadas giorno dopo giorno, riconosco che nemmeno la più fervida fantasia avrebbe potuto immaginare il mondo in cui mi sarei immersa. Le differenze che si trovano tra il mondo argentino e quello italiano si intensificano notevolmente nei barrios più poveri, riservando talvolta piacevoli sorprese. Chi dovesse avere la suerte –fortuna ndr- di passeggiare per il barrio S. Jorge non faticherà a percepire il pacifico ritmo misionero, la cui assenza di frenesia sposa perfettamente la grande tradizione del mate, la bevanda nazionale.
A creare l’atmosfera dei barrios non mancano cumuli di immondizia, macchine scassate sui cigli della strada, case precarie di legno/lamiera che costeggiano il fiume, cani randagi che vagano tra le casette colorate che di giorno s’improvvisano chioschetti di ogni genere. Il dolce rosa dei lapachos in fiore (una pianta locale, ndr) e il verde brillante della vegetazione argentina accendono le tonalità infuocate della terra di Misiones, colori che riflettono perfino nel paesaggio invernale la vivacità degli innumerevoli bambini. Il pittoresco quadretto viene arricchito dai battiti di mani usati al posto dei campanelli, e dalle sgommate delle moto che spesso sfrecciano con a bordo mamma, papà e 2 o 3 pargoletti.
Certo ai nostri occhi non possono sfuggire i numerosi angoli di povertà, le svariate forme in cui essa si manifesta.
Spesso in Italia si sente dire: «Nei paesi più poveri le persone non possiedono nulla, eppure sanno gioire in ogni istante e molto più di noi!». Non so se mi posso dire totalmente d’accordo: certo i sorrisi non mancano, ma nemmeno le manifestazioni delle molte sofferenze. Quanto credo di poter affermare è invece che queste persone non vivono in funzione di ciò che manca loro, ma piuttosto godono di quel poco che hanno, atteggiamento a noi troppo spesso sconosciuto. Una ragazza che ho avuto la fortuna di incontrare qui mi ha detto: “Le persone di qui più sono umili, più sono generose!”. La mia esperienza a Posadas lo conferma.
Dimenticherò a fatica la luce degli occhi orgogliosi della signora che una mattina si è svegliata all’alba per farmi assaggiare le chipas calde, la gioia sincera di una donna di San Jorge nel regalarmi la gonna più bella della sua bottega, la spontaneità con cui i bimbi condividono tra loro la merenda senza accusare il più affamato se ne prende due porzioni, al contrario porgendogliene una terza. La premura e l’affetto dimostrato dalle donne con cui ho lavorato, poi, sono davvero impagabili.
Le famiglie più umili si dimostrano spesso molto solidali; nei loro componenti sembra essere evocato un forte spirito di sacrificio e servizio non estraneo ad esempio a V, che malinconicamente mi racconta di quando aveva 10 anni e ha cominciato a lavorare come bambinaia, di quando adolescente aveva 3 lavori perché non poteva «sopportare che la mamma soffrisse la fame». Mentre sento raccontare la sua storia non posso fare a meno di pensare a quanto deve essere stata dura la sua vita. La sua energia, l’allegria e la luce che emana, che ho apprezzato sin dal nostro primo incontro, assumono così ancora più valore. E la malinconia si fa strada quando mi rendo conto che nessuna delle persone che ho trovato qui ha avuto una vita tanto più facile di V. Eppure, tutte mi stanno sorridendo da dietro al loro mate.
Vivaci e perennemente arruffati, i bimbi di San Jorge accolgono con entusiasmo le attività proposte, donando energia e allegria al barrio. Sbalorditivi per il loro numero, con gioiosa ospitalità, conquistano velocemente l’affetto di coloro che hanno l’onore di conoscerli. Sorprendente ai miei occhi occidentali è la libertà concessa loro, la possibilità di vagare per la calle, di giocare con qualsiasi oggetto vi trovino. L’elevato numero di fratelli non è privo di conseguenze nella vita di ogni bambino: i primogeniti si fanno carico degli hermanitos. J. aveva 9 anni quando la madre se n’è andata, lasciandole a carico i fratellini, una di 3 anni e l’altro di 6 mesi. Quando le ho fatto i complimenti per la sorella premurosa che si dimostrava in ogni occasione, con un sorriso di dolce malinconia ha risposto: «Grazie, ma per loro sono la mamma, non la sorella», mostrando la sua forza di dodicenne dall’infanzia rapita. Il rischio contrario è che la mancanza di stimoli e attenzioni nell’ambito familiare provochi ritardi nello sviluppo. Ad esempio, prima di frequentare le attività organizzate da Jardin, un bimbo di 6 anni con 13 fratelli non
sapeva nemmeno parlare.
Tra i problemi dell’Argentina più povera, che il sistema assistenzialista certo non risolve, mi è parso lampante quello delle madri adolescenti. Alla maggioranza delle mie coetanee ventenni del barrio sarebbe stato superfluo chiedere se avessero figli: più appropriato sarebbe stato domandare quanti figli avessero… la risposta sarebbe stata raramente inferiore a 2. Sole nell’affrontare la gravidanza e abbandonate dal partner, le ragazzine vedono infrangersi il sogno di andarsene dalla casa sovraffollata della loro infanzia (dove essere una delle tante sorelle e figlie suscita il desiderio di sentirsi importanti almeno in quanto unica madre) e si trovano a fare i conti con la triste realtà di non saper far fronte alle necessità del loro bimbo.
Molti sono i casi di violenza domestica, spesso legati all’alto tasso di alcolismo, con gravi conseguenze su mogli e figli. Una bimba di 5 anni che presenta con orgoglio il padre che si regge a malapena in piedi è lacerante, non solo per il degrado della situazione, quanto per la tranquillità della bambina, che indica quanto sia abituata a tutto ciò.
Notevole è il risultato conseguito dal gruppo “ProGen”, in cui donne sottrattesi con separazione o denuncia alle violenze del marito si impegnano a trasmettere coraggio a chi non ha ancora trovato la forza di ribellarsi.
In questi oltre 25 anni di attività Jardin è riuscita a trasformare San Jorge da discarica a quartiere dignitoso, migliorando con tanti e validi progetti la qualità di vita di coloro che, citando Papa Francesco, “vivono al confine del Mondo”.
Questi mesi a Posadas sono stati intensi e arricchenti, ma non sempre facili o divertenti. Ho imparato a fare fatica, a mettere da parte la frenesia del “dover fare”, ad andare al passo dolce di chi ho trovato nel mio cammino argentino, di chi ha reso l’esperienza più forte della mia vita un magico miscuglio di colori, dolori e meravigliosa energia.
Capire e vivere sulla propria pelle cosa vuol dire che camminare CON loro, piuttosto che essere lì per loro, è l’unico modo di arrivare lontani.
Francesca Costantini